#milanocomemilano
17 giugno 2012: era appena terminata l’esperienza di OCA che qualcuno ricorda all’ex ansaldo, oggi BASE Milano.
Dopo un intenso lavoro in cui con elita avevamo contribuito a generare un piccolo fenomeno di partecipazione popolare all’interno di un format aperto ed inclusivo con musica dal vivo sino alle 12:00 del mattino (grazie alla follia di tanti), guardavo con ammirazione il live di Iokoi illuminato a giorno (erano le 8:00 di mattina) con alcuni colleghi di battaglia.
Si era generata una strana energia, in cui la nuova giunta arancione (in sella da un anno…) si confondeva con il pubblico, dando per la prima volta l’impressione che la distanza tra cittadini e pubblica amministrazione si fosse finalmente assottigliata.
Chi se le dimentica le ore di anticamera per farsi ascoltare nel Comune delle destre? Chi se le dimentica le risposte sdegnate alle richieste di sostegno per chi – come noi – cercava di portare anche a Milano quell’aria di cambiamento culturale che inondava le principali città internazionali?
Sino ad allora Milano mi era sembrava culturalmente immobile, animata dai soli investimenti in pubblicità e marketing, appiattita sui propri asset tradizionali, incapace di vedere altro futuro che non fossero i grattacieli che sorgevano al posto degli avamposti culturali all’isola.
In quel momento ho sentito che c’era finalmente lo spazio per lavorare su di una nuova identità urbana e sulla costruzione di una vera e propria comunità.
Milano mi piaceva per essere la città dei talenti, cioè delle tante persone interessanti che si riescono ad incontrare da queste parti anche solo in una settimana di lavoro e svago, ma non era certo un posto accogliente.
Il centro intasato di macchine, trasporti inefficienti, poca cura del verde pubblico e nessuna valorizzazione del patrimonio artistico e culturale.
Ma evidentemente la spinta che aveva portato a Palazzo Marino la giunta Pisapia era la dimostrazione che quei tempi erano finalmente finiti, che nuove priorità dovevano essere al centro dell’azione della pubblica amministrazione.
Il mandato era chiaro e per fortuna le aspettative non sono andate deluse.
Ecco quel 12 giugno scrissi questa cosa qui sotto, che trovo ancora molto attuale:
“Milano come Berlino per le migliaia di persone nella notte bianca della musica, Milano come Amsterdam per le proiezioni, i workshop e le assemblee affollate, Milano come Parigi per la varietà dell’offerta culturale, Milano come Londra per la multiculturalità, Milano come New York per i live sperimentali nelle prime ore dell’alba… Tutto questo è stata, per chiunque, l’esperienza di OCA, ma per noi è stata qualcosa in più.
Abbiamo rinnovato la nostra fiducia verso una città che deve guardarsi allo specchio ed essere orgogliosa delle energie che riesce a sprigionare, dei talenti che riesce ad attrarre, degli spazi che la rendono unica e della sorprendente diversità culturale.
Ora pensare al futuro dell’Ansaldo è compito della politica, perché la società civile ha detto la sua e serve un progetto strategico ed innovativo: nessun derivato di altri modelli esistenti potrà funzionare, perché Milano è solo come Milano.”